Accordo Ue-Oms ‘anti-fuga’ per gli infermieri: cosa prevede. La situazione della carenza nell’Ue
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- 4 Settembre 2024
(tratto da www.ipasvi.it)
1955 – Nascono i Collegi
È il 1955, gli italiani allontanano i ricordi della guerra e si preparano, senza saperlo, agli anni del boom economico. In questo clima nascono i Collegi delle infermiere professionali, vigilatrici d’infanzia e assistenti sanitarie visitatrici, voluti da un decreto governativo dell’ottobre 1954. E voluti soprattutto da quelle operatrici della sanità consapevoli di essere preziose, ma che non avevano ancora ottenuto uno specifico riconoscimento professionale, poiché il decreto del 1946 sulle professioni sanitarie si era limitato a ripristinare gli Ordini dei medici chirurghi, dei veterinari e dei farmacisti e ad istituire i Collegi delle ostetriche.
Da questo momento in poi i Collegi e la Federazione Ipasvi avranno un continuo sviluppo, registrando tutte le tappe della crescita e dei cambiamenti che hanno visto protagonista la professione infermieristica. Un primo passo importante fu convincere le infermiere, le assistenti sanitarie visitatrici e le vigilatrici d’infanzia, religiose e laiche, ad iscriversi negli Albi professionali: i dati registrati nel 1959, in occasione del Censimento nazionale degli esercenti le professioni sanitarie, mostrano i buoni risultati raggiunti, ma segnalano anche il perdurare di alcune difficoltà.
1965 – Infermieri a Congresso
Più benessere più possibilità di movimento, anche grazie al diffondersi delle automobili. Così finalmente la Federazione dei Collegi Ipasvi per il Paese e vi può indire il suo primo Congresso nazionale, svoltosi a Roma dal 31 maggio al 2 giugno del 1965.
La sede scelta per la cerimonia inaugurale fu il Palazzo degli Uffici all’Eur e registrò la partecipazione di tutte le “massime autorità religiose, militari e civili”, come recitavano abitualmente i giornali dell’epoca.
Anche se le fotografie sembrano raccontarci una realtà molto rigida e formale, il discorso di apertura dell’allora presidente Laura Sterbini Gaviglio non fu affatto rituale: ripercorrendo le tappe dei dieci anni di vita dei Collegi, sottolineò tutte le difficoltà con le quali la professione si doveva confrontare, dalla mancanza di scuole statali e gratuite per la formazione, ai problemi di inquadramento contrattuale, alla più generale difesa della dignità della professione infermieristica, concludendo con l’affermazione di essere ormai in tempi “maturi per il raggiungimento di un sistema di sicurezza sociale”.
1971 – Largo agli uomini!
“Estensione al personale maschile dell’esercizio della professione di infermiere professionale”: recita così la legge n. 124 del 25 febbraio 1971, con la quale si sancisce una vera rivoluzione nel mondo infermieristico. La storia della professione era stata fino a questo momento esclusivo appannaggio delle donne: una santa per proteggerle, quella matrona Fabiola che si dedicava all’assistenza nell’antica Roma, una donna come modello ideale, ovvero Florence Nightingale, e poi tante altre donne negli ospedali, nelle visite igieniche alle zone più difficili del Paese, nell’assistenza all’infanzia. Il lavoro infermieristico, visto come “ausiliario” e “vocazionale”, era giudicato particolarmente adatto alle donne e soprattutto alle religiose, che furono per molti anni la maggior parte del corpo infermieristico.
Una situazione che produceva, come conseguenza forse non voluta, la curiosa “anticipazione” di un protagonismo femminile anche in ruoli di vertice, si pensi ad esempio alle due rappresentanti infermieristiche chiamate, di diritto, nel 1957 a far parte del Consiglio superiore di Sanità. Ma lo sviluppo della società porta progressivamente ad una radicale trasformazione del ruolo delle infermiere, che acquistano sempre più competenza e autonomia professionale.
Dunque, anche per ragioni di equità sociale, la professione non può più essere preclusa agli uomini, ai quali oltretutto era invece già consentita la funzione di infermiere generico (e proprio sulla distinzione tra infermiere professionale e infermiere generico si aprirà un non facile dibattito tra i legislatori, interessati a reclutare personale, e i Collegi Ipasvi, preoccupati della tutela di una qualificazione professionale acquisita attraverso molti anni di studio). L’immissione degli uomini nei ruoli professionali produrrà anche un’accelerazione del cambiamento dei percorsi formativi, a cominciare dai Convitti che dovranno derogare all’internato per i nuovi allievi.
1973 – Formazione all’europea
L’Italia recepisce l’Accordo europeo sull’istruzione e formazione degli infermieri professionali (legge 15 novembre 1973, n. 795). Si tratta di una tappa importante nella storia della professione infermieristica: il documento sarà il punto di riferimento di tutto il processo di riordino normativo che si svilupperà dagli anni Settanta ad oggi.
L’Accordo di Strasburgo indica infatti i punti essenziali per una revisione dei programmi d’insegnamento e definisce la funzione educativa del tirocinio pratico degli allievi. Per uniformarsi alle indicazioni europee, che prevedono 4600 ore di insegnamento, saranno elaborati nuovi programmi di studio e la durata dei corsi passerà da due a tre anni. L’obiettivo è duplice: far crescere la qualità della formazione e consentire la possibilità per gli infermieri di lavorare nei vari Stati firmatari dell’Accordo.
1974 – Si rinnovano le mansioni
A definire il campo delle attività e le competenze degli infermieri nel 1974 interviene il Dpr 225, il cosiddetto “mansionario”, che modifica le precedenti norme di regolamentazione della professione risalenti al lontano 1940.
La riforma del Servizio sanitario, che vedrà la luce nel 1978 con l’approvazione della 833, è preceduta da un lungo periodo preparatorio in cui si pone mano al riordino delle attività delle professioni sanitarie. Nel complesso il “nuovo” mansionario viene accolto con favore dagli organismi di rappresentanza della professione che, pur sottolineandone alcune contraddizioni, al momento dell’emanazione lo considerano una tappa importante del processo evolutivo dell’assistenza infermieristica.
Il testo tende a stabilire un diverso approccio con l’assistito, non più visto solo come un malato con dei problemi clinici, ma come una persona che esprime bisogni psichici, fisici e sociali. In questa logica diventano fondamentali gli aspetti relazionali dell’attività infermieristica, che viene valorizzata nelle sue funzioni, come evidenzia la stessa terminologia che viene usata nel Dpr. Ad esempio, il termine “eseguire”, presente nel dettato normativo precedente, viene quasi sempre corretto con “programmare” e “promuovere … iniziative”; inoltre viene introdotto il termine “coordinare” e soppresso “dipendere”.
Il mansionario estende il campo di attività infermieristica dall’ospedale ai servizi di sanità pubblica e abbraccia i settori della prevenzione, della cura, della riabilitazione e dell’assistenza sanitaria. Viene riconosciuto anche il ruolo didattico dell’infermiere in rapporto all’assistito e alle famiglie, ma anche nei confronti di altri operatori e degli allievi.
In sintesi con il Dpr 225 l’infermiere acquista una propria caratterizzazione professionale più adeguata ai tempi, a cui corrispondono il riconoscimento di una certa autonomia operativa e precise responsabilità relative alle attività individuate dal legislatore come specifiche: un elenco destinato, comunque, a invecchiare ben presto nell’impatto con le trasformazioni indotte dal progresso scientifico e tecnologico.
1978 – Basta mutue, nasce il Servizio sanitario nazionale
Nel 1978 a dieci giorni dal Natale, presidente del Consiglio Giulio Andreotti, ministro della Sanità Tina Anselmi – uno schieramento parlamentare vastissimo, che in tempi recenti si è potuto rivedere solo in occasione dell’elezione di Ciampi a Presidente della Repubblica, dopo anni di dibattiti e scontri diceva sì all’istituzione di un Servizio sanitario nazionale pubblico con i soli voti contrari del Movimento sociale, del Partito Liberale e l’astensione dei repubblicani (in tutto meno del 15% degli elettori dell’epoca).
Con una maggioranza quasi plebiscitaria, quindi, anche l’Italia entrava nel club di quei Paesi che avevano scelto di dotarsi di un sistema nazionale di tutela della salute ponendo la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle malattie tra i primi compiti della Repubblica.
Le vecchie mutue, caratterizzate da evidenti sperequazioni tra le diverse categorie di assistiti, lasciavano il posto alle Usl, Unità sanitarie locali, che assumevano a proprio carico tutte le competenze in materia di assistenza sanitaria. Il finanziamento del sistema sarà assicurato dalla fiscalità generale (ma occorrerà attendere quasi un ventennio prima dell’effettiva fiscalizzazione dei vecchi contributi malattia) e viene istituito il Fondo sanitario nazionale che entra a far parte di un apposito capitolo di spesa del Ministero del Tesoro.
La riforma del 1978 sarà oggetto di moltissimi provvedimenti di modifica e integrazione, culminati nella prima grande riforma della riforma (quella del biennio 1992/93) che trasformò le Usl in “Aziende sanitarie locali” dotate di autonomia giuridica dando il via alla cosiddetta “aziendalizzazione” del sistema e dalla “riforma ter” (più nota come riforma Bindi dal ministro della sanità che la mise a punto) varata nel 1999, ma rimasta in gran parte ancora inattuata, soprattutto a causa del cambio di maggioranza seguito alle elezioni politiche del 2001 e dal contemporaneo avvio della riforma federalista dello Stato che ha rafforzato ulteriormente il ruolo delle Regioni nel governo della sanità.
1992 – Arrivano i diplomi universitari
Sono circa mille i primi studenti che nell’anno accademico 1992/93 varcano le soglie dell’Università per frequentare i corsi di diploma universitario per infermiere, avviati in 18 Atenei italiani. L’ingresso della formazione nell’Università è il punto d’arrivo di un decennio di battaglie portate avanti da tutta la professione per adeguare i percorsi formativi al ruolo di grande responsabilità svolto dagli infermieri in ogni struttura del sistema sanitario italiano e per entrare a pieno titolo in Europa.
Questa esigenza si integra perfettamente con il complessivo disegno di riforma dell’Università, varato nel 1990, che istituisce anche nel nostro Paese le “lauree brevi”. Alla fine del 1992 viene emanato il Dlgs 502 (poi 517) che, oltre a definire le competenze dell’Università, delle Regioni e delle Aziende del Ssn in materia di formazione infermieristica, stabilisce come requisito per l’accesso alle scuole a ai corsi il possesso del diploma di scuola secondaria superiore di secondo grado di durata quinquennale. La nuova norma si prefigge di salvaguardare il patrimonio di esperienza didattica delle precedenti Scuole, prevedendo l’accreditamento delle sedi idonee con l’Università. Nel 1996/97 il periodo di transizione al nuovo sistema formativo si conclude con il passaggio definitivo di tutta la formazione di base in ambito universitario. Sul diploma, accanto alla firma del Responsabile del corso, figura ora quella del Rettore dell’Università.
1994 – Una grande manifestazione in piazza
Il 1° luglio del 1994, per le strade di Roma sfilano 50mila lavoratori della sanità, infermieri professionali per la gran parte. Una manifestazione che chiedeva più attenzione per il sistema sanitario pubblico, in anni in cui la ricetta privatistica sembrava la soluzione di ogni problema, e soprattutto interventi per una migliore qualificazione delle professioni sanitarie, ovvero i nuovi profili professionali sui quali si discuteva da tempo ma che tardavano ad arrivare.
Ma il lungo corteo romano rappresentò anche un momento di passaggio fondamentale per la costruzione di una nuova e più forte identità professionale: striscioni, cartelli, migliaia di palloncini mostrarono a tutti che gli infermieri di oggi erano lontani e diversi dagli stereotipi del passato.Tutti gli slogan ruotavano intorno a questa consapevolezza: “Infermiere qualificato, paziente tutelato”, “Vogliamo migliorare per assistere e curare”, ed anche, in una polemica ironica ma non priva di fondamento, “Signor dottore ho commesso un gran reato, ho pensato, ho pensato”. Senza dimenticare anche gli obiettivi immediati: “Costa, Costa, vogliamo una risposta”. E la risposta arrivò rapidamente, perché pochi mesi dopo, a settembre, l’allora ministro della Sanità Raffaele Costa firmò il decreto ministeriale che definiva ruolo e funzioni degli infermieri professionali.
1994 – Gli infermieri hanno un nuovo profilo
Il profilo professionale è la pietra miliare nel processo di professionalizzazione dell’attività infermieristica. Il decreto ministeriale 739/94 riconosce l’infermiere responsabile dell’assistenza generale infermieristica, precisa la natura dei suoi interventi, gli ambiti operativi, la metodologia del lavoro, le interrelazioni con gli altri operatori, gli ambiti professionali di approfondimento culturale e operativo, le cinque aree della formazione specialistica (sanità pubblica, area pediatrica, salute mentale/psichiatria, geriatria, area critica).
Il profilo disegnato dal decreto è quello di un professionista intellettuale, competente, autonomo e responsabile. Analoga definizione dei campi di attività e delle competenze verrà successivamente stabilita anche per l’infermiere pediatrico (Dm 70/97) e per altri 20 profili professionali, tra cui figurano quello dell’assistente sanitario, dell’ostetrica, del terapista della riabilitazione, del tecnico di laboratorio ecc. L’attivazione del profilo si presenta come il banco di prova per verificare la compliance tra le aspirazioni e le potenzialità degli infermieri, che sono chiamati ad assumere – anche formalmente – la responsabilità di gestire autonomamente il processo assistenziale, dal momento decisionale a quello attuativo, valutativo e di confronto.
1999 – Mai più “ausiliari”
Non più “professione sanitaria ausiliaria”: finalmente questa anacronistica e impropria definizione attribuita agli infermieri viene definitivamente cancellata da una legge dello Stato. La legge 42/99 (Disposizioni in materia di professioni sanitarie) sancisce che il campo proprio di attività e di responsabilità della professione infermieristica è determinato dai contenuti del decreto istitutivo del profilo, dagli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post base, nonché dai Codici deontologici che la professione si dà.
2000 – Laurea specialistica e dirigenza
A fissare gli ultimi tasselli al percorso di riordino della professione è la 251/2000 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica). Questa legge stabilisce che gli infermieri in possesso dei titoli di studio rilasciati con i precedenti ordinamenti possono accedere alla laurea di secondo livello in Scienze infermieristiche.
Passa così, dopo una lunga battaglia della Federazione Ipasvi, il principio dell’equipollenza dei titoli ai fini della prosecuzione degli studi. Ma l’importanza della 251 consiste soprattutto nel riconoscimento “formale” della dirigenza: per gli infermieri si aprono così le porte per l’accesso alla nuova qualifica unica di dirigente del ruolo sanitario. In attesa dell’entrata a regime della specifica disciplina concorsuale, disposizioni transitorie stabiliscono che le Aziende sanitarie possono comunque procedere all’attribuzione degli incarichi di dirigente dei Servizi dell’assistenza infermieristica e ostetrica “attraverso idonea procedura selettiva tra i candidati in possesso di requisiti di esperienza e qualificazione professionale predeterminati”. A tali figure sono attribuite la responsabilità e la gestione delle attività di assistenza infermieristica e delle connesse funzioni, nonché la revisione dell’organizzazione del lavoro incentivando modelli di assistenza personalizzata.
2001 – Lauree in armonia con l’Europa
I decreti del 2 aprile del 2001 sulla determinazione delle classi di laurea delle professioni sanitarie si inquadrano nel generale processo di riforma dell’Università, che va avanti per armonizzarsi con lo scenario europeo: i corsi di diploma universitario per infermiere si trasformano così in laurea triennale e viene prevista la laurea specialistica nelle Scienze infermieristiche e ostetriche, a cui accedere sulla base dei crediti acquisiti nella formazione di base.
Nella specifica classe di laurea riservata alle professioni sanitarie infermieristiche e alla professione sanitaria ostetrica sono collocati i profili dell’infermiere, dell’ostetrica e dell’infermiere pediatrico.
2002 – Una legge per arginare l’emergenza
Il 2002 si apre con l’emanazione di una legge che riguarda gli infermieri, la n. 1 dell’8 gennaio (Conversione in legge, con modificazioni del decreto legge 12 novembre 2001, n. 402, recante disposizioni urgenti in materia di personale sanitario). Il provvedimento, nato sulla spinta dell’emergenza infermieristica, in realtà fissa alcuni principi di carattere più generale:
• riconosce agli infermieri dipendenti del Ssn la possibilità di svolgere attività libero-professionale all’interno delle strutture della loro Amministrazione per garantire attraverso “prestazioni aggiuntive … gli standard assistenziali nei reparti di degenza e l’attività delle sale operatorie”;
• prevede la possibilità di riammettere in servizio infermieri che abbiano volontariamente risolto il rapporto di lavoro, stipulando contratti a tempo determinato;
• definisce le funzioni dell’operatore socio-sanitario, ribadendo che esso svolge le sue attività “conformemente alle direttive del responsabile dell’assistenza infermieristica od ostetrica o sotto la sua supervisione”;
• valorizza la formazione complementare e attribuisce valore di titolo valutabile ai fini della carriera ai Master e agli altri corsi post base.
2004 – Al via le Lauree specialistiche!
Con decreto del 9 luglio 2004 il Miur fissa le modalità e i contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea specialistica in Scienze infermieristiche e con decreto del 27 luglio definisce i posti per le immatricolazioni. Il 1° ottobre, con un ulteriore decreto, riconosce ai fini dell’ammissione “in deroga al superamento dell’apposita prova” la posizione degli infermieri già in possesso dei titoli rilasciati dalle Scuole dirette a fini speciali e titolari, da almeno due anni, dell’incarico di direttore dei Servizi infermieristici o di direttore o coordinatore dei corsi di Laurea.
Così, nell’anno accademico 2004-2005 la Laurea specialistica diventa finalmente una realtà concreta e i corsi partono in 15 Atenei italiani.
Un obiettivo che la Federazione e i Collegi Ipasvi hanno perseguito con tenacia, con il fine di offrire agli infermieri la possibilità di intraprendere percorsi formativi sempre più articolati e diversificati, che li rendano protagonisti attivi e competenti di un mondo sanitario in continuo sviluppo.
La Laurea specialistica (o magistrale) non è una tappa formativa obbligatoria, ma un’opportunità per gli infermieri che intendano acquisire il livello professionale necessario ad esercitare specifiche funzioni nell’area clinico-assistenziale avanzata, nella gestione, nella formazione e nella ricerca.
2006 – Partono i primi dottorati
Partono i primi dottorati in Scienze infermieristiche: è la tappa che completa il percorso accademico della professione infermieristica nel nostro Paese.
Il conseguimento dell’importante obiettivo si deve alla sensibilità di alcune prestigiose Università, ma anche al sostegno della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi concretizzatosi, nella fase conclusiva, con il finanziamento di alcune borse di studio.
Il primo bando ad essere pubblicato è stato quello dell’Università romana di Tor Vergata, a cui ben presto si è aggiunta Firenze.
2018 – 15 Febbraio, i Collegi IPASVI diventano Ordini delle Professioni Infermieristiche OPI, entra in vigore la legge n°3/2018 cd Legge Lorenzin
L’articolo 4 opera una revisione della disciplina delle professioni sanitarie, in parte novellando il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 233 del 13 settembre 1946, ai Capi I, II e III, concernenti gli ordini delle professioni sanitarie, gli albi nazionali e le federazioni nazionali ,e in parte introducendo nuove disposizioni relative agli ordini e alle federazioni.
Come prima innovazione rispetto alal normativa vigente istituitva degli Ordini il ddl prevede una nuova definizione degli Ordini che vengono definiti come “enti pubblici non economici”, che “agiscono quali organi sussidiari (superando così la tradizionale definizione di “enti ausiliari” utilizzata di norma finora ndr.) dello Stato al fine di tutelare gli interessi pubblici, garantiti dall’ordinamento, connessi all’esercizio professionale”.
E questa è solo una delle definizioni specifiche sulla natura giuridica degli Ordini sanitari che ora vengono messe nero su bianco entrando nel merito della loro natura economica e patrimoniale, del loro ruolo e delle loro funzioni.
In particolare, la nuova disciplina prevede, come prima accennato, un ammodernamento degli ordini delle professioni sanitarie, adeguando la normativa di riferimento agli ordini vigilati dal Ministero della salute con riferimento al loro funzionamento interno e mutando la denominazione di collegio in ordine. Infatti con la novella di cui al comma 1, innanzitutto, si richiamano gli ordini esistenti dei medici-chirurghi, dei veterinari e dei farmacisti aggiungendo poi, rispetto alla normativa vigente, gli ordini dei biologi e delle professioni infermieristiche, della professione di ostetrica e dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione (v. comma 9, articolo 3).
A questi ordini – insieme ai quali è altresì richiamato il nuovo ordine dei fisici e dei chimici – si applicano, in base al rinvio effettuato dal comma 12, le disposizioni del sopra citato D.Lgs.CPS 233/1946. Al riguardo si sottolinea che la disciplina dell’ordine dei biologi è inserita dall’articolo 9 nell’ambito delle professioni sanitarie, cui si aggiunge, a norma del medesimo articolo, la professione di psicologo per la quale, tuttavia, rimane ferma l’attuale normativa in materia di organizzazione, con alcune modifiche (v. articolo 9).
Gli ordini sopra richiamati al comma 1 del capoverso articolo 1 novellato, sono costituiti a livello territoriale: durante l’esame al Senato si è sostituito il termine di provincia con circoscrizioni geografiche corrispondenti alle province esistenti alla data del 31 dicembre 2012.
Rispetto alla normativa vigente, si mantiene la possibilità, in caso di esiguità del numero dei professionisti residenti nella circoscrizione territoriale – in relazione al numero degli iscritti a livello nazionale -, ovvero qualora sussistano altre ragioni di carattere storico, topografico, sociale e demografico, che un ordine abbia per competenza territoriale due o più circoscrizioni geografiche confinanti, ovvero una o più regioni ad opera del Ministero della salute (superando in tal modo il riferimento, ormai datato, all’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica), sentite le rispettive Federazioni nazionali e d’intesa con gli Ordini interessati.
Viene anche disposto che per l’esercizio di funzioni di particolare rilevanza, il Ministero della salute, d’intesa con le rispettive Federazioni nazionali e d’intesa con gli ordini interessati, può disporre il ricorso a forma di avvalimento o associazione tra i medesimi.
Infine, viene previsto che nel caso in cui il numero degli iscritti a un albo sia superiore a 50mila unità, il rappresentante legale dell’albo può richiedere al Ministero della salute l’istituzione di un nuovo Ordine che assuma la denominazione corrispondente alla professione sanitaria svolta; la costituzione del nuovo Ordine avviene secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro della salute, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.